NOTE DI COPERTINA – Krisma, Nothing do with the dog, Franton Records, 1982

L’epica futurista del duo simbiotico al suo apice creativo

Con tutta probabilità l’apice creativo dei Krisma, mantiene il magico equilibrio tra fruibilità pop e radicale sperimentazione elettronica dei precedenti “Cathode Mamma‘ e “Clandestine Anticipation“, anticipando semmai l’elemento sintetico, fino ai limiti della tecnologia allora disponibile: Casio MT 65, paradossalmente poco più di un giocattolo, seppur manomesso dal genio guastatore di Maurizio Arcieri per farlo somigliare al Krismino (un piccolo sintetizzatore autocostruito, inspiegabilmente sequestrato alla dogana U.S.A. e mai più restituito), risulta essere l’unico strumento accreditato per le dieci tracce.

Registrato a New York presso gli avanguardistici studi della Atlantic – fra i collaboratori spicca Arto Lindsay – prende internazionalmente il nome di “Fido” data l’impossibilità di battezzarlo Rin Tn Tn a causa di veti per diritti d’autore connessi al noto telefilm.
Stravaganze cinofile, ribadite dagli abbai remixati nel primo singolo estratto.

L’ingestibile duo Arcieri/Moser, già dai fermenti punk costantemente in anticipo sui tempi, accostabile forse soltanto ai primi Righeira anche per via della mancanza di spocchia intellettualistica, corre veloce sull’autobahn futurista tracciata da Kraftwerk, attitudine internazionale fin troppo visionaria e pioneristica per i pachidermici parametri della discografia italiana dormiente a Sanremo: tant’è che la CGD alla quale sono legati contrattualmente, manifesta palese disinteresse per l’albo, dirottando così la pubblicazione verso la minuscola Franton, con tutta evidenza inadeguata alla bisogna.

Rinominato per l’appunto “Nothing to do with the dog” solo per il mercato nazionale, il disco passa pressoché inosservato, pur essendo nelle intenzioni tutt’altro che destinato ad un pubblico di nicchia. Basti riascoltare la traccia “Find a friend“, quel suo evolversi sontuoso nella conclusiva “Heroes of the sea“, per scorgere nella palla di vetro l’epica magmatica ed artificialmente pulsante delle sonorità a venire.

La doppia copertina “ascensionale” a sfondo blu – in fronte Cristina platinata, sul retro Maurizio occhialuto – è puro Zeitgeist estetico ’80: scatti alieni di Edo Bertoglio, all’epoca nel giro Pop-Art newyorkese di Warhol, rielaborati graficamente fino ad assumere connotati d’avatar, ben prima che il termine venisse traslato comunemente dall’induismo alla virtualità digitale.

Disco innovativo, azzardato ovverossia libero, troppo avanti, si dirà per meritarsi un presente nel lontano 1983 e una memoria riconoscente nel 2022. Non che oggi s’abbia maggiore consapevolezza delle matrici generanti arte camuffata da intrattenimento e viceversa, dei détoumement ludici, delle simulazioni spiazzanti, della creatività delle macchine, anzi, nulla sembra stupire più nell’attuale società dello spettacolo.
Cristina e Maurizio invece sapevano giocare facendo arte, ed erano belli, folli, anticonformisti per natura: due alieni, ora ricongiunti per sempre nello spazio.

di Donato Novellini

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