Chrisma/Krisma (Rolling Stone Italia, 2008)

La memoria futurista del duo italo-svizzero torna con la trilogia (1977-1980) di musica glaciale

Fossero arrivati da un paese estero, Maurizio e Christina (italiano lui, quello di Cinque minuti e poi dei New Dada; svizzera lei, bonazza, voce e pochi strumenti per le mani) ai tempi del punk ce li avrebbero invidiati tutti.

Krisma

Perché si muovevano a loro agio tra le pieghe dell’imperante rock corrosivo e della rigenerante new wave elettronica. C’era da essere matti per infilare una serie di lp come Chinese Restaurant, Hibernation e Cathode Mamma (la trilogia 77-80) quando in classifica arrivavano al primo posto Umberto Balsamo e i Collage.

Prima Chrisma, poi Krisma, il cantante e sua moglie navigavano in un mare di sperimentazione che è forse più facile apprezzare oggi di quanto lo fosse allora, quando i ritmi ossessionanti e una certa strafottente attenzione per l’estetica finirono col renderli figure aliene in un panorama musicale più influenzato da Barry Manilow che dal Bowie della trilogia berlinese.

Come loro c’erano Garbo, Battiato, e pochi altri “matti” decisi a percorrere corsie laterali al pop e a certa canzone d’autore che si prendeva troppo sul serio.
Può così accadere, oggi, di ascoltare Lycee o la glaciale Thank You (una serie di grazie a Jim Morrison, Hendrix, Presley, Armstrong e altri “caduti” e non della musica) e di pensare agli Ultravox.

Ai tempi di Heroes, Bowie disse: «Il domani appartiene a chi lo sente arrivare».
Ai Krisma, che così poco si guardavano alle spalle, verrebbe da chiedere se il loro domani, un presente avaro di soddisfazioni nella musica (ma le collaborazioni del 2002 con i Subsonica di Nuova ossessione è un bel fiore all’occhiello), gli è piaciuto o se a conti fatti sarebbe stato meglio rivaleggiare con Albano e Romina a colpi di Felicità.

Le loro convinzioni di allora, oggi ristampate perché non se ne perda memoria, sembrano dire ancora che certe strade sono a senso unico.

ERMANNO LABIANCA

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